God is Green – Piante e inquinamento

God is Green

Piante e inquinamento

a cura PNAT

God is Green è la rubrica [Home Edition] sui temi della sostenibilità e del futuro green a cura di PNAT.

Ogni domenica alle 16:00.

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Cover: MOST themost.it

God is Green – Piante e inquinamento

Le attività umane sono inquinanti: dal trasporto all’agricoltura, dalla produzione industriale ai processi estrattivi, dall’allevamento all’edilizia, tutte le pratiche che compongono il nostro sistema produttivo consumano risorse ed energia, e alterano l’equilibrio dell’ecosistema. I processi di combustione, il deposito di rifiuti, i residui dei trattamenti chimici, rilasciano nell’ambiente polveri sottili e particolati, composti dell’azoto e del carbonio, metalli pesanti come piombo e mercurio, idrocarburi. L’elevata concentrazione di queste sostanze è dannosa per l’ambiente e tossica per gli organismi viventi – minaccia quindi la sopravvivenza delle specie, e riduce la biodiversità.

 

Di fatto, l’inquinamento è la contaminazione dell’ambiente, perché altera le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua, del suolo e dell’aria, influendo sulla vivibilità e sull’equilibrio degli ecosistemi. Il continuo aumento dell’inquinamento rende inabitabile qualunque ambiente, ed è una minaccia per la nostra stessa sopravvivenza. Per invertire questa tendenza, occorre ripensare il modo in cui produciamo, consumiamo e interagiamo con l’ambiente. Nel frattempo, dobbiamo risanare l’atmosfera, le acque e i terreni contaminati.

Foto: Ashley Felton

 

Una valida opportunità è offerta dalle piante. Le piante sono per natura capaci di fornire ossigeno e consumare anidride carbonica, che è presente in misura eccessiva nella nostra atmosfera ed è una delle maggiori cause dell’accelerazione del surriscaldamento globale. Attraverso le radici e le foglie, sono in grado di intercettare e degradare i composti organici volatili (VOC) e di trattenere le polveri sottili presenti nell’atmosfera. Sono valide alleate per la depurazione dell’aria, dunque. Ma non solo.

 

Ormai un secolo fa, alcuni botanici osservarono che alcune piante crescevano rigogliose in terreni ricchi di metalli come zinco e nichel, ed erano capaci di raccoglierne alte concentrazioni all’interno del proprio organismo. Sorprendentemente, queste piante non solo non risentivano dell’accumulo dei metalli, ma ne beneficiavano. Funzionavano come delle estrattrici naturali: intercettando i metalli dal terreno, e stoccandoli nel fusto e nelle foglie. “Se solo fosse stato oro…” commentò uno degli studiosi. Ma era ancora meglio! Avevano imparato a conoscere le piante “iper-accumulatrici”, le protagoniste di ogni strategia odierna di decontaminazione dei terreni.

 

Cos’è la Fitorimediazione

 

L’inquinamento dei terreni è una delle conseguenze più sottovalutate dell’attività umana. L’accumulo nel suolo delle sostanze tossiche non le rende inoffensive, anzi: i contaminanti possono aggredire le falde sotterranee, minacciare lo sviluppo degli esseri viventi, avvelenare gli abitanti. Le tecniche tradizionali di depurazione dei suoli si limitano al confinamento delle porzioni inquinate, al prelievo e allo stoccaggio del materiale tossico. Operazioni che non fanno che trasferire la criticità, creandone altre. Il problema viene spostato, non risolto. Le piante, però, offrono anche questa volta una soluzione geniale: la fitorimediazione.

La Fitorimediazione è la biotecnologia che impiega le piante per bonificare l’ambiente. Combina botanica e ingegneria, e amplifica la capacità delle piante di rimuovere gli inquinanti organici e inorganici dal suolo, dall’acqua e dall’aria. Si tratta di processi lenti ma estremamente efficaci, sostenibili, rispettosi delle risorse e dell’ecosistema, in grado di abbattere i consumi energetici ed eseguibile in situ.

Per comprendere il valore della fitorimediazione occorre pensare ad un’area quanto più inquinata possibile, una discarica dismessa ad esempio, o un campo di scarico di rifiuti industriali. Bene, ora immaginate che questi terreni tossici e minacciosi possano essere rigenerati piantandoci degli alberi. Nessun processo chimico, nessuna operazione meccanica: solo un piccolo bosco. Incredibile, non trovate? Neutralizzare un pericolo per la salute, e guadagnare in cambio un bosco, quindi aria più pura, più fresca, biodiversità. C’è una buona notizia: tutto questo è possibile e funziona proprio bene. E costa meno di qualsiasi alternativa.

La fitodepurazione si compone di diverse operazioni. Le piante possono assorbire l’inquinante con le radici e degradarlo, metabolizzarlo nei tessuti, oppure eventualmente trasferirlo alle foglie. Possono trasformare i contaminanti in composti inoffensivi, e poi rilasciarli nell’aria, attraverso le foglie, in forma volatile. Sempre con le radici, le piante possono attrarre e immobilizzare le sostanze tossiche, impedendone la dispersione; oppure, possono stimolare l’attivazione dei microrganismi rizosferici, ovvero tutti quei microrganismi, funghi e batteri contenuti nel terreno, che lavorano in simbiosi con le radici stesse. In questo caso, saranno loro a demolire gli inquinanti.

La depurazione dagli inquinanti è possibile nel suolo compatto, come nelle aree paludose stagnanti, e perfino nell’acqua, a seconda delle piante impiegate. Insomma, la facoltà di rigenerazione ambientale delle piante è sterminata.

 

Qualche nome di queste super-piante anti-inquinamento?

 

Il Pioppo, per esempio. Il Populus è particolarmente efficace per l’assorbimento del piombo, dello zinco, del nichel, dell’arsenico dei composti organici, ed è in grado di volatilizzare sostanze altamente tossiche come il Tricloroetilene, usato nell’industria chimica principalmente come solvente. Lo stesso vale per il Salice (Salix). Nelle operazioni di fitorimediazione, quando l’area contaminata è estesa gli alberi sono da preferire ad altre piante, perché l’apparato radicale è in grado di agire a profondità maggiori.

Arabidopsis-thaliana, Arabetta-Comune – Foto: Severgnini Vincenzo

L’Arabidopsis-thaliana è una delle piante più efficaci per la fitorimediazione dei suoli

 

La festuca, il loglio e molte altre graminacee sono altre valide estrattrici di metalli pesanti. Alcune brassicacee, come l’Arabidopsis thaliana o la Brassica juncea, convertono molte sostanze inquinanti in forme meno tossiche. Tra le specie acquatiche, primeggiano il miriofillo (Myriophillum acquaticum) e la Spartina. E poi c’è la Canapa sativa, un’accumulatrice molto efficiente, capace di agire anche sulle sostanze radioattive.

Le piante sono una risorsa fondamentale per la tecnologia del futuro. Lavorare in simbiosi con il mondo vegetale offre soluzioni valide, creative e durevoli ai problemi più complessi che ci troviamo ad affrontare. La fitorimediazione non è che un esempio: quanto altro ancora possiamo imparare a fare assieme alle piante?

Pnat ha all’attivo due progetti di fitorimediazione condotti in collaborazione con SEI Toscana e con il LINV – Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale.

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In questo caso, le piante vengono utilizzate per depurare il percolato prodotto nelle discariche, un residuo liquido altamente tossico che si forma per fenomeni di infiltrazione di acqua, per l’umidità contenuta nei rifiuti e per le reazioni biochimiche che si verificano. In questi progetti il percolato, diluito con l’acqua, viene utilizzato per irrigare piante di pioppo e salice, capaci di depurarlo dalle sostanze organiche tossiche e di assorbire e immagazzinare quelle inorganiche. Solitamente, la prassi prevede la raccolta e lo stoccaggio del percolato, operazioni dispendiose in termini economici ed energetici, e che di fatto non costituiscono soluzioni definitive al problema.

L’adozione di metodi di bonifica con le piante è un’alternativa ideale, perché permetterà lo smaltimento del percolato in maniera lenta ma sostenibile, concreta e definitiva.

Pnat

PNAT è uno spin off accademico dell’Università di Firenze che si propone come punto d’incontro tra ricerca sperimentale sul mondo vegetale e design sostenibile co-fondato dai biologi Stefano Mancuso (Direttore LINV – Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) Elisa Azzarello, Camilla Pandolfi e Elisa Masi, e i designer Antonio Girardi e Cristiana Favretto.

Guidato dal neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, PNAT ha realizzato in B9 il primo prototipo della Fabbrica dell’Aria, un dispositivo in grado di depurare l’aria all’interno degli spazi sfruttando la capacità naturale delle piante di assorbire e degradare gli inquinanti atmosferici.

fabbrica dell'aria

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