If I woke up one day / Laura Besançon

IF I WOKE UP ONE DAY

 

Elaborazioni spaziali da un altro mondo.

Cosa succederebbe se il mondo un giorno si svegliasse in un luogo diverso da quello abituale?

 

If I woke up one day è uno spazio di fantasia, all’interno del programma Living Room, nel quale il tempo, lo spazio, le relazioni umane, la natura hanno mutato forma e il virtuale è diventato reale.

 

Un artista alla settimana immagina cosa accade oltre la parete, sperimentando liberamente lo spazio e come questo si rapporta al limite in un universo distopico.

LIVING ROOM

Laura Besançon

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Alone, Together (2018-)

Video monocanale, 7 minuti

 

Alone, Together (2018-) è un lavoro partecipativo che coinvolge dal vivo i residenti di alcuni palazzi di Londra utilizzando lettere, luce e musica come chiave di comunicazione e creazione. Sono state inviate lettere ai residenti dove venivano apertamente invitati ad ascoltare una data canzone, un dato giorno, ad una data ora e a giocare con le loro luci seguendo il ritmo della musica, improvvisando come meglio preferivano. 

 

Cherie Federico, direttrice della rivista Aesthetica Magazine, descrive il lavoro:

“Il video Alone, Together (2018-), lavoro partecipativo di Laura Besançon, rappresenta la vita moderna. La maggior parte della popolazione vive in città o megalopoli. Viviamo l’uno sopra l’altro, per anni addirittura, senza mai sapere chi dorme al piano di sotto. Besançon ha sviluppato il progetto partendo dall’invio di una lettera ai residenti di un edificio multipiano, dove chiedeva loro di accendere e spegnere le loro luci in sequenza con una colonna sonora mentre lei filmava dall’esterno. Il risultato è una sinfonia perfetta. È incredibile raggiungere quel livello di performance e per poi poter osservare cosa succede – chissà che i residenti non inizino a parlare tra di loro. Si tratta di creare un senso di comunità. Questo lavoro di Besançon è una riuscitissima opera concettuale di grande impatto che offre una maggiore comprensione delle fazioni presenti all’interno della società” (Prefazione, Future Now Anthology 2020)

 

Il progetto acquista ancor più rilevanza alla luce della situazione attuale, inteso in relazione al distanziamento sociale e all’isolamento. Nel contesto di Manifattura Tabacchi, riflette sulle nozioni di comunità, co-creazione e come uno spazio possa trasmutarsi in luogo attraverso l’azione dei suoi residenti, la partecipazione, il coinvolgimento, l’arte, la musica. Il lavoro riflette su “l’arte come unificatrice di comunità, brevi momenti di esperienze condivise che danno vita ad una rinnovata percezione di luogo”.

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Still, Play! / Play Still (2020)

Video monocanale, 3 minuti

(Performance con telecomando, lettore VHS e VHS malfunzionante)

 

Questo lavoro si incentra su un qualcosa di ingovernabile. Non importa quanto ci proviamo, che sia lentamente o aggressivamente, probabilmente peggioriamo solo la situazione. Alcune cose sono al di fuori del nostro controllo, oppure disponiamo di una qualche lieve forma di controllo remoto. A volte l’unica cosa che possiamo fare è stare fermi, rallentare e accettare che alcune cose semplicemente non funzionano. Se qualcosa non funziona e non possiamo farci niente, alla fine capiremo che… sta a noi decidere se vederlo come, o farne, l’inizio di qualcos’altro o la fine di tutto (00:00:00).  Può valer la pena osservare un qualcosa di apparentemente negativo sotto una nuova luce.

 

Still, Play! /Play Still (2020) è un’opera che ho realizzato durante le mie due settimane di auto-isolamento di ritorno a Malta dopo un viaggio nel Regno Unito. Nel luogo dove ho passato i miei giorni di quarantena c’erano un lettore VHS e un telecomando. Mio padre mi ha fatto recapitare un paio di cassette di video di famiglia risalenti agli anni Novanta. Ne ho guardate un paio ma quando ho messo quella che volevo veramente vedere non funzionava. Continuavo a premere impazientemente play sul telecomando ma non v’era alcuna risposta se non la comparsa delle parole “Play..Still..Play”. 

Remote Control: queste due parole mi colpivano molto, soprattutto in questo momento storico. Stavo anche pensando molto alla “Grande Pausa” che stiamo vivendo e alle mie costanti riflessioni sulla calma e sul rallentamento. “Play” assume dunque un’altra accezione. Continuano a tornarmi in mente Johan Huizinga e la citazione tratta dal suo libro Homo Ludens: “play is a serious matter“, Il gioco è una cosa seria”. Il lavoro si focalizza sullo stare fermi o sull’imparare a giocare entro i propri limiti/confini. È una mia riflessione anche sul nostro rapporto con la tecnologia dove rievoco alcuni mezzi più desueti e “più lenti

Conversation pieces

Laura Besançon & Caterina Taurelli Salimbeni

Alone, Together e Still, Play / Play Still sono due progetti che l’artista ha sviluppato in due momenti diversi, che trovano in questo contesto una nuova vita.

Pensato dall’artista come un progetto evolutivo, Alone, Together esplora l’arte come strumento di co-creazione, partecipazione e gioco nel contesto della città. Still, Play! / Play Still nasce invece a partire dalla mancanza di risorse, proprio nel periodo in cui l’artista, al ritorno a Malta dal Regno Unito, ha dovuto isolarsi dal resto della famiglia. Due lavori che invitano a cambiare prospettiva, a riconsiderare la solitudine come partecipazione, l’immobilità come movimento. Incentrati sui dualismi dell’esistenza, si occupano di aspetti differenti eppure connessi dello spazio inteso come flusso continuo: quello materiale l’uno, quello virtuale l’altro. 

Estratto whatsapp del 6 aprile 2020

CTS: Buongiorno Laura, mi chiamo Caterina, piacere di conoscerti. Ti scrivo perché ho appena scoperto un tuo lavoro, Alone, Together. Mi ha colpito molto. La sensazione che ho provato nel vederlo non è qualcosa che capita tutti i giorni. Sono una curatrice d’arte in Italia e in questo momento sono la responsabile dei progetti d’arte contemporanea di Manifattura Tabacchi, un’ex fabbrica in corso di riqualificazione a Firenze. Mi farebbe piacere conoscerti, senza alcuna doppia finalità, ma non si sa mai, se ci si trova bene si potrebbero fare delle cose belle. Grazie per il momento, a presto. 

 

LB: Buongiorno Caterina. Ti ringrazio molto per il tuo bel messaggio. Sono molto felice che il mio progetto ti abbia toccato. Sapere che qualcuno è particolarmente interessato dal mio lavoro significa tanto per me, a maggior ragione perché lo sento profondamente. Ancora di più in questo momento preciso! Ho dato un’occhiata a Manifattura Tabacchi, mi sembra un bel progetto e un concetto davvero interessante da sviluppare. L’architettura, i suoi diversi spazi, i suoi edifici sono impressionanti. Uno spazio che ha tanto potenziale. Io sono maltese e francese, per cui parlo di più l’inglese che il francese, quindi se preferisci parlare in inglese, è meglio anche per me. A presto!

CTS: La prima volta che ho visto Alone, Together sono rimasta ipnotizzata. Questo edificio alto, che si imponeva nella notte in mezzo a nient’altro, era vivo. Non ho pensato immediatamente al modo in cui potesse accadere, se fosse reale o post-prodotto, perché ciò che mi affascinava era l’emozione che trasmetteva. Che peso credi abbiano le emozioni nell’arte e nello specifico nella tua ricerca come artista?

 

LB:Io voglio credere che questo esista ancora, cioè che ci siano cose che non possono essere create interamente in post-produzione, perché non sarebbe lo stesso. Eppure ci sono persone che lo considerano come qualcosa di interamente post-prodotto, senza metterlo in dubbio. E’ l’effetto del modo in cui la nostra consapevolezza e percezione vengono modellate, in un certo senso confuse direi. C’è la grande questione dell’autenticità. Non credo che alcuna emozione avrebbe potuto essere trasmessa se non fosse stato reale. La luce dipendeva dal tocco fisico dei partecipanti. Quel gesto corporeo nell’accendere la luce e la sua registrazione in uno spazio e tempo reali non potranno mai essere sostituiti. 

 

CTS: Questo è un punto, che adesso più che mai ci stiamo accorgendo di come alcune cose nell’arte non siano sostituibili, come la relazione e il suo aspetto fisico. 

 

LB: Assolutamente, credo che alcuni di noi possano sentirlo nella situazione attuale. Non conta il numero di videochiamate che facciamo con amici e familiari, niente può rimpiazzare un abbraccio. Con l’arte è uguale, soprattutto l’arte dal vivo e altri mezzi, non sono fatti per essere visti solo digitalmente. Non puoi avere l’esperienza totale di un dipinto o di una scultura in una mostra virtuale. In questo progetto, soprattutto con la documentazione video, molto è lasciato all’immaginazione di chi guarda. Credo sia naturale e importante investire i miei sentimenti nel lavoro, per connettermi a un livello mentale ed emotivo con chiunque entri in contatto con esso in qualsiasi forma, che siano i partecipanti o gli spettatori, in una galleria o online. Molte emozioni vengono solitamente represse o nascoste, dal momento che la vulnerabilità sembra meno comune, e io creo ogni volta a partire da un’emozione forte, e ancora di più, dall’intuizione.

 

CTS: L’intuizione e il tempo hanno entrambi a che fare con la fotografia. Per Henri Cartier Bresson la fotografia mette insieme la vista, la testa, l’occhio e il cuore. 

 

LB: Avendo iniziato da fotografa, realizzo una fotografia in maniera intuitiva, sapendo quando scattare. Il sentimento e l’azione coincidono in una frazione di secondo. Un atto conoscitivo che viene fuori unicamente dall’osservazione della vita che accade di fronte a me e con me. L’intuizione la sento moltissimo. Nel mio processo artistico, mi fido del processo anche se l’idea finale non è chiara da subito. Le mie emozioni crescono e mi tengono impegnata nel processo, che a sua volta, spero, diventa visibile e trasmissibile.

 

CTS: In questo senso, cosa ti ha spinto a realizzare Alone, Together e in che modo hai attivato il processo collaborativo alla sua base? Qual è stata la reazione delle persone?

 

LB: E’ successo in maniera molto organica, una combinazione di molte notti a guardare fuori dalla mia stanza i grattacieli e le loro finestre, pensando a chi li abitasse, leggendo le qualità condivise dall’architettura e la musica e il mio amore per le lettere e le forme più tradizionali di comunicazione. Ho preparato delle lettere che invitavano i residenti ad ascoltare una canzone particolare in un preciso momento di una precisa notte e a giocare con le loro luci al suono della musica che avevo mandato, lasciando spazio alla loro improvvisazione. Così due notti prima dell’evento, le ho lasciate nelle loro cassette per la posta o sotto le loro porte. Ho ricevuto un paio di email e parlato con alcuni dei residenti. Alcuni mi hanno scritto la notte prima dicendomi che era stato un piacere ricevere la lettera, altri che non ci sarebbero stati ma che avrebbero voluto partecipare e altri ancora che erano molto divertiti dalla cosa. 

 

CTS: E’ impressionante il modo in cui alcuni lavori in un certo senso siano anticipatori. Hai realizzato Alone, Together due anni fa e guardandolo adesso si arricchisce di nuovi significati. La relazione tra dentro e fuori, privato e pubblico, solitudine e collettività. Cosa pensi di questo progetto oggi?

 

LB: Mi piacerebbe dire che ho scoperto di recente di essere un profeta (haha!). Dal 2018 ho pensato al lavoro in diversi modi e a quel che rappresenta, visto che potrebbe essere molte cose. Tuttavia, non ho mai immaginato che presto avrebbe potuto assumere diversi significati come risultato di una pandemia mondiale. Mi interessa l’uso dell’architettura come simbolo e strumento per riflettere sulla società e le fazioni al suo interno. Ed è un lavoro relativamente minimo e concettuale che semplifica le complessità attraverso la luce, lo spazio, il tempo, l’architettura e l’attività umana, una sorta di riassunto della realtà. Gioca con i dualismi apparenti che hai citato e le nozioni di intermezzo che sono spesso aspetti sottovalutati o a causa di un pensiero bianco o nero, ignorati nella natura complessa della vita e del quadro generale. Quindi il significato del lavoro può cambiare facilmente in nuovi contesti a causa delle possibili numerose associazioni e dell’interconnessione di tutte le cose. 

 

CTS: E poi lo spazio si mostra sotto numerosi aspetti. Che ruolo pensi abbia nel tuo lavoro e come lo leggeresti rispetto all’architettura contemporanea e non?

 

LB: Mi interessano molto le cose che esistono già. Spesso non cerco il nuovo, ma ciò che già esiste in modi nuovi. Guardando al come, attraverso l’azione, un gesto, una riconfigurazione della prospettiva dell’oggetto dato o dello spazio che potrebbe essere alterato o visto in una luce diversa (letteralmente e figurativamente). Con questo grattacielo in particolare, ero abbastanza colpita dal fatto che fosse solo nel mezzo di un ampio parco. Questo tipo di architettura è molto contestata, ma secondo me è molto grezza, bella e mi ci vedrei a vivere in un palazzo simile con uno spazio così verde tutto intorno, qualcosa di sempre più raro. Sono anche piuttosto interessata a come lo spazio è usato e occupato e alle interazioni che accadono al suo interno. Mi sono appassionata ai parco giochi di Aldo van Eyck e alla sua concezione di città come parco giochi. Le fotografie di archivio li ritraggono pieni di persone, giovani e anziane, una scena molto distante dalla realtà di oggi dove i bambini giocano più davanti a uno schermo e ci sono meno interazioni in questi luoghi. Credo che volessi portare un invito al gioco nei palazzi, una sorta di capovolgimento, magari avrebbe potuto rimbalzare nelle strade!

 

CTS: E’ un lavoro che ha molto a che fare con lo spazio non visibile, che influenza quello visibile. Evidenzia la prospettiva come una variabile non autonoma e non fissa nel tempo. 

 

LB: Esatto, vedo la torre come un ready-made nel quale lo spazio è reinventato o manipolato attraverso il processo di partecipazione. L’opera d’arte lo definisce e crea esperienze in esso, insieme a momenti condivisi e senso dello spazio. Si potrebbe dire che dirotta lo spazio che esiste già, con la luce che viaggia per lunghe distanze, e l’azione che impatta sul circuito elettrico tra le persone. Bisogna pensare anche al fatto che tutto ciò non è visibile sullo schermo quando si guarda il video. Il grattacielo potrebbe essere visto da lontano o da chiunque lo stia osservando da sotto. Non so se qualcuno l’abbia fatto e mi incuriosirebbe saperlo ora. E questo è un altro punto importante, che potresti perderti delle cose non osservando e a volte la prossimità non conta, la non completa attenzione fa di più.

 

CTS: Anche Still, Play! / Play Still ha a che fare con dualismi e giochi di parole. Un invito ad andare avanti quando siamo fermati da qualcosa, che venga da noi o dal mondo esterno, ma anche a rimanere nel momento di immobilità. Mi fa pensare alla poesia “A Eva che scenda la scala” di Sylvia Plath, che inizia così: «Gridano gli orologi: quiete è menzogna, mia cara». Allo stesso modo, il tuo lavoro attiva una sorta di corto circuito tra concetti e parole, nel quale rimani bloccato, ma che allo stesso tempo ti spinge ad andare avanti.

 

LB: E’ un riferimento molto bello. Il movimento è l’essenza di ogni cosa, l’unica costante nella vita è il cambiamento. Ma si può comunque scegliere di star fermi, si può fare qualcosa non facendo niente, il niente è qualcosa. Precisamente il modo in cui stiamo salvando il mondo stando a casa, se ci pensi adesso. Il cortocircuito è un altro punto interessante. In effetti l’ho pensato primariamente per Alone, Together perché, in un certo senso, avrebbe potuto causarne uno, ma il rischio è parte del mio lavoro come della vita. In Still, Play! / Play, Still avrei potuto rompere il lettore vhs continuando a premere “play” del telecomando e il vhs rotto. Il corto circuito è più evidente qui, perché le parole fluttuano per unirsi o scontrarsi, fino a che l’idea diventa più evidente e chiara attraverso la ripetizione e la velocità. 

 

CTS: C’è questa parola in italiano, che è divertirsi, la cui radice latina è de-vertere, che significa cambiare direzione. Ha a che fare con il cambiare prospettiva no? Ti ritrovi in questa attitudine?

 

LB: Mentre parliamo sento i miei genitori che giocano a ping pong. Si sente la palla andare avanti indietro, in quello stadio intermedio di un cambio di direzione. Un gioco coinvolge due partecipanti, che individualmente, ma insieme, influenzano lo slancio della palla. Pensare oggettivamente ti fa pensare ancora di più a come il gioco a volte sembra un’attività senza senso, ma i sentimenti che si provano sono altro. Giocare è spesso un cambio di direzione, un mezzo per scoprire diverse possibilità o per il puro gusto di farlo, un fine in se stesso. Con Alone, Together, il processo di andare su per centinaia di scale in diversi grattacieli di Londra e lasciar lettere a persone che non conoscevo era come un gioco su larga scala. Ho iniziato a camminare più verticalmente che orizzontalmente per le strade. Realizzare il mio lavoro è un gioco, direi, soprattutto con i lavori partecipativi. E’ una scommessa, un lancio di dadi, caso e stranamente un senso del destino. Se nessuno gioca, vai avanti a cercare altri giocatori, fino a che non trovi un gruppo divertente! Devo dire che chi non gioca, compie la decisione di non farlo, salta un turno. La non risposta è una mossa, una scelta, una direzione.

 

CTS: Se torniamo all’aspetto del malfunzionamento, pensiamo al fatto che la nostra società non vi è abituata e considera ciò che non funziona secondo un’accezione negativa. Il lavoro eppure sembra una metafora di quello che stiamo vivendo adesso e lo sento dare una sorta di soluzione alla frustrazione che potrebbe emergere. In che modo la situazione attuale influenza la tua percezione e il modo di fare arte?

 

LB: Still, Play! / Play, Still è davvero un lavoro video che non sarebbe esistito se non fossi stata dalla parte di ciò che non funziona. Ho finito per focalizzarmi così tanto sul tasto del lettore che ho iniziato a leggerlo in diversi modi e all’improvviso mi sono trovata a guardarlo diversamente. Attualmente credo che potremmo lentamente abituarci a diversi modi, come il modo in cui lavoriamo. Ci sono modi di lavorare sulle cose o di cambiarle e credo che un senso di apertura e gioco aiuti molto. Essendo la comunicazione e il gioco centrali al mio processo, penso all’attuale crescita delle attività su schermo e come tutti questi strumenti online potrebbero essere portati avanti nel futuro e come possano anche essere usati in diversi modi, rompendo il flusso di questa elevata iperstimolazione. Sto ancora pensando alle finestre e agli schermi e gli spazi tra di essi con un progetto fotografico, che ho iniziato durante la quarantena. Sto passando questo tempo in una sorta di residenza d’artista autogestita, ma anche per riflettere. Non è cambiato molto perché continuo a lavorare in un luogo naturale per me, provando a prendere tutto ciò che accade e che non accade e lasciandolo andare. Vedremo cosa ne uscirà fuori!

Laura Besançon

(Malta, 1993)

Laura Besançon su instagram

Laura Besançon è un’artista multidisciplinare.

 

Mentre frequenta il corso di laurea in Comunicazione e Psicologia presso l’Università di Malta, Laura inizia ad adottare un approccio artistico nel fare ricerca. Nel 2017-2019 consegue un master in fotografia alla Royal College of Art dove mette a punto la sua pratica multidisciplinare. 

 

Laura mette al centro del suo lavoro le nozioni di gioco, connettività e spazio che vengono sondati con un approccio che spesso vede l’utilizzo di vari strumenti comunicativi. Lei è anche molto interessata nel ribaltamento dei concetti attraverso l’appropriazione, la riconfigurazione, il cambio di prospettiva e l’azione giocosa. Inoltre, la sua arte esamina i concetti di interno ed esterno e tutto ciò che sta nel mezzo, staccandosi nettamente dal binomio pubblico/privato. 

 

Tra le sue opere più recenti troviamo Alone, Together (2018-) che prevede il coinvolgimento attivo di persone residenti in grattacieli. Laura è stata finalista dell’MTV RE:DEFINE Award ed è stata selezionata per il Aesthetica Art Prize 2020.