Workshop con Goldschmied & Chiari

WORKSHOP CON GOLDSCHMIED & CHIARI

Gli oggetti nello specchio sono più vicini di quanto appaiono

Sei specchi uguali di cm 70 x 115 e un tema, l’autoritratto. Un oggetto e un soggetto, entrambi fondamentali nella pratica di Goldschmied & Chiari, che hanno deciso di usare come miccia per innescare il lavoro condiviso con i sei artisti in residenza. L’esperimento, quindi, dal risultato volutamente inatteso, ha inteso lasciare libero spazio alla riflessione e alle esigenze di ciascun artista.

«Quello che ci interessava – chiariscono le artiste – e su cui siamo state attente, è stato di non dare un progetto preorganizzato, perché sapevamo di incontrare e lavorare con dei giovani artisti, che stanno già portando avanti ognuno un loro progetto». 

 

Goldschmied & Chiari hanno preso in prestito la scritta impressa sullo specchietto retrovisore delle automobili americane, “gli oggetti nello specchio sono più vicini di quanto appaiono” e proposto agli artisti di usare lo specchio come base per il lavoro. Interessate alla molteplicità della prospettiva e della riflessione, hanno scelto l’autoritratto come punto di partenza del processo. Pratica notoriamente importante nella storia dell’arte, nel mondo attuale l’autoritratto sta attraversando una nuova fase, mentre il workshop ha voluto riportarlo all’opera, all’interrogazione, alla ricerca di risposte e alla stimolazione di nuove domande. 

È stato abbastanza chiaro fin da subito come lo specchio non fosse necessariamente il media definitivo, ma piuttosto uno strumento, molto versatile, con il quale entrare in relazione, una tela dalle qualità performative.

 

Si tratta di un materiale ricorrente nella ricerca del duo artistico. Nel loro primo lavoro comune, realizzato nel 2001 presso la Fondazione Olivetti, uno specchio rifletteva i loro corpi sdraiati e, sopra di esso, una polvere bianca e leggera componeva il loro primo nome: goldiechiari

Nel raddoppiare lo spazio e la visione, lo specchio permette di rapportare non solo le diverse individualità, ma anche l’individualità di ciascuno con la propria ricerca e di lavorare dunque sull’autoritratto. Il corpo stesso emerge come mezzo di relazione del proprio posizionamento, culturale e naturale, che determina lo sguardo dell’altro e del sé. In questo senso, gli studio visit che Goldschmied & Chiari hanno condotto con ciascuno dei sei artisti in residenza il primo giorno erano di fatto degli autoritratti.

 

Da questa condensazione di storie e di lavori, le due artiste hanno individuato un tratto comune, il tempo. «Hanno tutti un ritorno alla propria infanzia, che in qualche modo diventa anche sensualità. È un nucleo che li accomuna, quello della famiglia, del passato, del tempo». Quindi in forme diverse, dalla caducità del lavoro all’immaginario attinto dall’infanzia, il tempo è emerso come sottile fil rouge tra i sei progetti individuali. D’altronde il XXI secolo è il secolo del tempo. Lo stesso lavoro di Goldschmied & Chiari gioca molto sullo spostamento temporale, che può essere nel passato di Genealogie o nel futuro di If I am the legend, per svelare e insistere su tensioni attuali. 

Dunque, considerato l’autoritratto come punto di partenza e lo specchio come mezzo performativo, il tempo è diventato il dato di sintesi del lavoro e ha trovato la sua forma in un elemento della ex Manifattura Tabacchi e tutt’oggi ancora presente: le finestre dipinte di blu. Quella vernice blu che durante gli anni di attività della fabbrica veniva impiegata per proteggere il tabacco dall’essiccazione provocata dai raggi solari, nel progetto di workshop si trasforma in gesto pittorico.

 

Nello specifico, i sei artisti dipingeranno sei finestre, ciascuno in totale libertà, che saranno apposte nel cortile interno della Manifattura. Un linguaggio, sei gestualità. Speculari ai loro studi, le finestre restituiscono da una parte un ampliamento dello sguardo di ciascun artista, dall’altra rappresentano un segno che attraversa il tempo, traccia del passato e impronta per il futuro. Non solo, le finestre si posizionano anche come varco concettuale tra due spazi dalle diverse vocazioni: l’esterno visibile al pubblico – il cortile – e l’interno nascosto dei vecchi edifici, del quale l’opera costituisce un semplice quanto immediato rimando. 

Memoria, rimozione, rapporto con la storia, autoritratto, coralità, impermanenza, tempo. Il lavoro è denso di tutto questo e, in quanto parte integrante dell’architettura, contiene anche la chiave per il suo continuo movimento e cambiamento.