Paysage Vivant, Paysage Vibrant

Sperimentale è un attributo che si associa sempre di più alla creazione, all’arte, al lavoro. Il cinema sperimentale funziona come una sonda che scandaglia attraverso l’obiettivo gli anfratti più nascosti e più affascinanti della percezione umana, mettendola alla prova senza compromessi.

 

Con Paysage Vivant, Paysage Vibrant, anteprima italiana, Manifattura Tabacchi compie un passo decisivo in direzione di quella multidisciplinarietà e di quello sperimentalismo che caratterizzano l’avanguardia artistica del nostro tempo.

 

La selezione delle opere cinematografiche è a opera di Emmanuel Lefrant, video artist e direttore di Light Cone, archivio di provenienza dei film basato a Parigi. Emmanuel Lefrant ha scelto di proiettare lavori molto diversi tra loro, ma con un fil rouge preciso che ispira tra l’altro il titolo della rassegna. Meccanico, urbanizzato, tellurico, isolato, mediato, astratto, il paesaggio emerge nelle declinazioni più distanti, mostrandosi in un’ampia gamma di possibilità, ciascuna di queste inedita e originale. 

Molte opere di Light Cone sono attualmente in esposizione presso Time Machine, mostra di immagini in movimento curata da Antonio Somaini, a Parma, che ha inaugurato la città come capitale italiana della cultura 2020.

 

Il desiderio di ritrovare il tempo perduto, l’illusione di fermare un istante, i paradossi e le infinite divagazioni dell’immaginazione sulla possibilità di sfuggire alla rigida dittatura del fluire temporale trovano nel cinema una possibilità di raffigurazione che incide sulle possibilità stesse dell’uomo di immaginare il tempo: dall’accelerazione al ralenti, dal fermo-immagine al time-lapse e alle infinite varianti offerte dal montaggio, le tecniche cinematografiche di manipolazione temporale allargano e rimodulano l’orizzonte della nostra percezione permettendo di vedere e sperimentare altri tempi che confinano con le regioni del sogno e del desiderio.

Accompagnati dal suono regolare e ipnotizzante delle bobine e della pellicola, i film di Paysage Vivant, Paysage Vibrant sono un concentrato di stimoli, tra immagini di archivio, fotografie e tecniche artigianali. Il cinema sperimentale infatti è molto legato, anche se non è limitato a, alla dimensione artigianale e al contatto con la materia costituita dalla pellicola. Le possibilità offerte da questo mezzo sono impressionanti.

In China Not China (2018, 16 mm), Richard Tuohy sovrappone circa quindici riprese della stessa scena, una Hong Kong che ha appena celebrato il ventesimo anniversario della propria retrocessione alla Cina. Una tecnica, quella della sovrapposizione, che oltre a deformare lo spazio, induce una sensazione di continua impermanenza, una transizione mai risolta che trascende il contesto storico per abbracciare un sentimento universale, tanto vicino alla condizione di precarietà esistenziale attuale.

Gary Beydler predilige invece il time-lapse in Hand Held Day, un’unica sequenza su una strada dell’Arizona, che va dall’alba al crepuscolo per 14 ore concentrate in soli 6 minuti. Attraverso uno specchietto sorretto dalla mano del regista scorre un’intera giornata, stagliata in un cielo dalle tinte pastellate e le nuvole che sfrecciano rapide sullo schermo.

Ancora un time-lapse, ma con il più alto livello di sperimentazione della rassegna è Parties visible et invisible d’un ensemble sous tension (2009, 16 mm). Emmanuel Lefrant lascia alla terra e ai suoi processi di vita e consumazione il ruolo di agire sulla pellicola, la quale restituisce in questo modo effetti materici che si avvicinano alla pittura, una pittura in movimento, che con il suono del paesaggio selvaggio africano diventano un unico organismo vivente.

Set (2016, 16 mm) di Peter Miller è probabilmente il lavoro più faticoso da osservare, una fatica che vale la pena di fare. Si tratta di circa 5000 foto diverse di tramonti, che scorrendo in sequenza permettono l’osservazione del corso del sole attraverso il cielo fino al suo tramonto in mare. Lo sfondo cambia 8 volte al secondo, mentre la posizione del sole è coerente con la sua traiettoria.

Emmanuel Lefrant ricorda tuttavia che, sebbene il cinema sperimentale abbia un rapporto particolare con la pellicola, esso va oltre la stessa, perché esiste oltre il mezzo impiegato. Gli ultimi film della rassegna sono digitali, eppure l’effetto di calore e nostalgia è preservato alla perfezione. Il paesaggio viene ora osservato da lontano (I don’t think I can see an island, di Christopher Becks e Emmanuel Lefrant, 2016), ora scrutato nelle sue derive più pericolose e devastanti (Asleep, Paul Abreu, 2012), ora proiettato in una dimensione futura, nella più profonda desolazione e distruzione (Le pays devasté, Emmanuel Lefrant, 2015).