Matteo Coluccia

Matteo Coluccia

(1992 - Neviano, Italia)

Vive e lavora tra Firenze e la sua città natale. Affianca alla formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze numerosi percorsi progettuali e pedagogici, incentrati sulla performance e sul lavoro nello spazio pubblico.

La sua ricerca esplora i meccanismi che regolano i rapporti tra l’individuo, le masse, la dimensione pubblica e quella privata. Facendo particolare attenzione alle dinamiche e ai comportamenti che si generano dall’interazione tra questi elementi, tenta di indurre una riflessione sulla condizione esistenziale. L’immediata traducibilità della performance in comportamenti reali fa sì che l’artista si esprima solitamente con azioni individuali e collettive. Vive la performance come un dispositivo di indagine relazionale e solitamente tende a innescare, attraverso le sue azioni, dinamiche regressive, con l’intenzione di testare la sua posizione rispetto ai costrutti sociali, le varie singolarità e far emergere quei motivi originari che nell’abitudine al comportamento appaiono come naturali.

Tra le sue mostre recenti: 1968/Deadline, a cura di Sergio Risaliti e Luca Scarlino, Museo Novecento, Firenze (2018); Resistere, a cura di Pietro Gaglianò, Chiesa di Santa Verdiana, Firenze (2018); Fare un’immagine di tanto in tanto, a cura di Gabriele Tosi, Localedue, Bologna (2018); Studiovisit – incontri, visioni, conversazioni su arte e politica, a cura di Pietro Gaglianò, Casa Giovanni Mannozzi, San Giovanni Valdarno (2017); The stray statue paradox, a cura di Gabriele Tosi, SACI Studio Arts College International, Firenze (2017); This is the end, a cura di Elena Magini, Centro Pecci, Prato (2017).

Residenza d'artista

2018-2019
progetto triennale Manifatturanaturacultura

La Cura

Proxima Centauri

anno: 2019
materiali: legno, tela, smalto a solvente, vetro
dimensioni: 261x335 cm, 250 kg

Proxima Centauri si configura come un monumentale portafotografie, in tutto e per tutto simile a un normale portafotografie acquistabile nei negozi, al cui interno è presente una scritta: festa.  L’opera si presenta come un’apparizione e, nonostante la mole, non impone una lettura precisa ma innesca nel fruitore un immediato contatto e una riflessione sul continuo procedere degli eventi; rimanda a una propria, antica intimità, toccando, a tratti, la contemplazione della vita e della morte. L’oggetto, che per consuetudine viene inteso come contenitore del ricordo, si fa memento e avvalendosi del linguaggio proietta, chi lo osserva, a indagare ciò che non è ancora stato sottomesso all’ambito della conoscenza.